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GESSO


GESSO
Per chi è inchiodato a un marciapiede
Per chi è spalmato sulle strade
In un monolocale a ruote
O in fondo a un centro commerciale
Per chi marcisce in ospedale
Senza una visita a Natale
Per chi è all'ultimo banco a scuola
Per chi nel buco ci ha una suola
Per chi non ha scopato mai
Per chi fa un'orgia, ma di guai
Per chi ha un'inutile ricchezza
D'incomprensione e tenerezza
E non risplende mai alla festa
Non è mai grande, ma gli basta
Tenersi compagnia da solo
Un sogno, un film, la luna in cielo
E dopo a letto senza un volo
Cullato dal ronzio del gatto
In un silenzio ch'è un ricatto
Per chi non l'ascolta nessuno
Per chi svanisce come fumo
Quando si perde tra la gente
E guarda in alto, fra le piante
Conta le foglie, poi sorride
Vede ciò che nessuno vede
Per chi non confessa a se stesso
Che non gli piace esser di gesso,
Che la disperazione è frutta
Amara e dà l'indigestione
Per chi si alza la mattina
E sa già che cosa l'aspetta
Ed è già stanco appena sveglio
Di voglie morte da sfogliare
D'un giorno ch'è un lungo sbadiglio
Di fare ancora da bersaglio
Di sguardi ironici al suo fianco
Di quello specchio sempre bianco
Per chi non compra mai un biglietto
Per la felicità, e costretto
A cancellarsi finch'è vecchio
Non si ribella e non si arrende
Ad un tramonto sulle spalle
A una gran rottura di palle
Per chi coi morti sa parlare
E perde pure a non giocare
Per chi non ne può più di vita
Che passa a lato e lo saluta

Commenti

  1. Ho appena ascoltato un discorso misero, cinico, retorico, inutile dal capo dello stato. Mi è parso il farfugliare senile di un potente totalmente avulso dal paese che ritiene di rappresentare. Lo traduco così: tutto deve continuare com'è, noi non ci sposteremo, e i poveri che crepino. Crepa tu, napolitano. Tu non mi rappresenti. Crepate voi, banditi di un potere criminale e irresponsabile. Io a quelli come noi dedico questa poesia.

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