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AUGURI?


AUGURI?
E sento tutti dire: speriamo bene. Ed è la conferma di una paura che affoga nella rassegnazione, perché non si aggiunge mai che quello sperar bene si ripone in un miracolo, e i miracoli sono improbabili, nessuno ci crede davvero. Speriamo bene, vuol dire speriamo di resistere, finché un meteorite o un cortocircuito verrà. Qualcosa. Qualsiasi cosa pur di non continuare questa vita, che non ha senso, che è ruzzolata oltre l'ingratitudine, al di là della condanna di subirla. Niente di quanto respiriamo trova cagione. Le passioni sono archiviate, le speranze offensive, ogni appagamento prosciuga mentre lo provi. La più umile, mortificante stilla di piacere, ti pare di rubarla casomai, mentre altri restano inchiodati allo sperare bene. Ma speriamo bene vuol dire mal sperare, disperare, vuol dire ammettere. Arrendersi, fingendo il contrario. È una formula per chiudere una telefonata, una giaculatoria con gli occhi al cielo. Certo non per tutti. Ma chi osa sperare bene davvero, sta fuori dalla cerchia dei dannati. È uno che non vuole cambi, spera che il suo bene personale continui. Sono politici, inamovibili, oppure ladri. Io non ho neanche paura oggi, solo l'intorpidimento di chi non vuole preoccuparsi, prevedere, pensare. Mi sento solidale, per forza di cose, con i tanti che mi leggono e che non stanno messi meglio di me. A loro non dico speriamo bene, non propongo nessuna illusione. A voi soltanto io dedico un momento, per dire siamo qua, anche in questa mattina più anonima che mai io mi metto alla tastiera e stendo qualche parola che come un ponte mi faccia camminare fino a dove siete. Per raggiungervi, per non stare solo con me.

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