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POLVERE


POLVERE
Il problema dell'Italia è che è noiosa. È diventata un posto cupo, tetro, triste. Altro che il Paese dove fioriscono i limoni, il Paese del dolce sì ed altre amenità da letterati da grand tour. Le nostre piazze sono spente. I centri storici narcotizzati. Le periferie assassine. Si ascolta dappertutto come un ronzio, ed è il ronzio della rassegnazione e della rabbia sorda, pronta a scattare. I nostri giovani sono noiosi, sono già vecchi, nati in un tempo vecchio. Sono rinunciatari, i primi a darsi per vinti. Il loro sangue è carente di globuli vitali. Mi ha appena scritto un bellimbusto, voleva da me, come da altri, un'idea, in non più di 3000 battute, per un libro che sta componendo su come cambiare l'Italia, nientemeno. Vado a vedere se esiste, questo nome, e trovo uno con la vocazione precoce del portaborse e dell'imbonitore. E insisteva, anche. La disperazione genera cialtroni, e siamo pieni di disperazione, la respiriamo come ossigeno e la restituiamo come anidride carbonica di idee. Sarà un caso, ma gli assessori alla Cultura saltano come tappi di champagne, sono i primi a volar via alla prima brezza di crisi. E la cultura, che non è promozione o nepotismo di setta ma porre le condizioni per una fioritura spontanea di talenti, muore uccisa da se stessa, diventa puro mercato, puro marketing. La politica è la negazione si stessa, l'amministrazione locale di regola deprimente, con disperate eccezioni. Tutti parliamo, senza capirci niente, perché non c'è niente da capire, di borsa, di mercati, di andamenti, impariamo a memoria parole astruse, come spread, ma non sappiamo che farcene: è la solita storia per cui i poveri saranno non beati ma maledetti in eterno. I libri sono illeggibili, la musica, salvo rare eccezioni, inascoltabile. C'è una polvere di stanchezza in tutto quello che pensiamo, che facciamo, e quasi nessuno riesce più ad emettere vibrazioni di luce, non importa quanto tormentate, ma solari. Si ride a comando, o per reazione, o per disperazione e non è ridere, è un ghigno, sardonico, da paralitici, da cinici. Si piange sprecando lacrime, si economizzano i pensieri, si sprecano le parole, nessuno più partorisce niente. I poeti appassiscono, i carismi si nascondono. Fingiamo di consolarci con formule atroci: “speriamo bene...”, “aspettiamo ancora un poco...”. Sopra ogni cosa, si percepisce una comune l'inutilità di impegnarsi, di appassionarsi, di dedicarsi davvero a qualcosa, costi quello che costi, costi il tempo che costi. E l'autunno del nostro scontento sembra non avere fine, ed assorbiamo tutto questo, intossicandoci, e più ci intossichiamo più la nostra energia di vivere si spegne. Aspettiamo ancora un po...

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