Al primo incrinarsi dell'estate succedeva una cosa che, a ripensarla adesso, mi sorprendo quasi imbarazzato anche se forse era solo romantica, magari anche patetica. Ci portavano nei magazzini a scegliere le scarpe per l'inverno, “che qui costano la metà e sono fatte a mano, che a Milano poi ci fai un figurone”. Io sceglievo invariabilmente gli stivali da cow boy “ma se non indosserò gli stivali da cow boy disprezzarmi tu non puoi...”) ed era un rito di passaggio, di preparazione all'autunno, la stagione che ho sempre temuto di più. Tra le prima umidità di fine agosto giravo con questi blocchi ai piedi fino a non poterne più: il cado non era sconfitto, si prendeva solo una tregua trasportata da sporadici rovesci. Gli stessi che subisco in questo tempo, ora che qui ci vivo, e l'aria mi pare già cambiata, nei chiaroscuri disegnati dalle nuvole, nella routine che riprende il sopravvento. La mia scuola non finisce mai, ogni giorno io mi presento a chi mi legge. Ma a...