Non c'è niente di più
romantico di un distributore di benzina inesorabilmente chiuso,
magari a Natale, quando la vita è altrove, o anche a ferragosto,
proprio col sole a picco. Oppure al tramonto, nel declino di un
frammento di vita. Quelle onde di nulla che si allargano da un'oasi
con un cartello pleonastico: “Chiuso”, e ti senti finito, perso
in fondo al mondo. Mi piaceva andarci apposta, per cogliere meglio
l'inutilità del vivere. Mi ci cullavo, tramortito e ferito, mi
dondolavo a quelle vibrazioni di vuoto. Le pubblicità dei coupons
che promettevano una gioia consumistica e inquinata, una pelle di
daino lurida abbandonata sull'orlo di un secchio; la foto consumata
di remoto sorriso; un paio di guanti imbottiti in cerca di due mani;
misteriose chiazze antiche sul selciato ripulito a specchio. Da quel
precipizio senza ombre mi sporgevo per guardare oltre, al mondo
estinto di una campagna ostile, a un cielo inutile, alle macchine
rade che mi lanciavano i loro ronzii scomparendo nella crudele
indifferenza. Distributori di periferia dimenticata, sprofondati fra
sterpaglie di campagna, abbandonati lungo strade provinciali, fiori
della metropoli appassiti, rotolati fuori dal suo respiro. Nel
silenzio spaventoso, più denso di quello delle chiese, era sentirsi
morti da vivi. Soli sulla terra, in compagnia della tua sola ombra.
Ma adesso non riesco più, i distributori chiusi sono diventati
qualcosa di orrendo, non s'accontentano di quella loro inesistenza
temporanea, hanno il self 24 ore su 24, hanno le lucette sempre
accese in attesa di qualcuno che rifornisca e riparta, vogliono
somigliare a negozi, cattedrali. Un tempo erano deliziosamente
squallidi, adesso sono lugubri, patetici.
Almeno a Roma, nelle periferie piu' desolate alla Pasolini, ai distributori abbandonati, ma self service, c'e sempre l'immancabile Bengalese. Ossia per me va pure bene - Ma che ce frega, come dice Maurizio Battista: Roma e' grande, Milano a confronto e' l'armadietto dove mettemo le scope.
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