Che sia primavera. È un
tormentone in questo giorno che inaugura un lunario e subito
s'ammala, guardo fuori e il tramonto incombe inesorabile: però già
un po' più lento, come esitante appena. Non vedo l'ora, e so che non
sono il solo: altri lettori la scorgono, miraggio sui balconi, gemme
di primavera dentro i vasi da fiori. Ma io so che è solo voglia,
l'attesa che protende se stessa nella coscienza oltre un inverno
ancora da subire. Non vedo l'ora. Per me, la linea della morte è la
fine di febbraio: dopo, non importa quanto pioverà, dopo c'è già
la luce, l'attesa si fa presente, io scorgo l'equinozio, il cambio
dell'ora, io abbraccio aprile. Dopo, son già le sette, le otto, dopo
la sera è sera, non questo imbuto che di colpo si spalanca.
Cinquantasette giorni all'alba. Un'aurora di fine febbraio scorso presi la
corriera per andare a Roma e il sole nascente dal mare m'incantava;
io non lo ricordavo, c'erano queste figure di un presepe umano,
imbacuccate, lente ma quel sole guarito era già una promessa di felicità,
seppure si sarebbe nascosto sempre, dopo, fino a luglio. Non importa:
la primavera è una cosa, la fine dell'inverno è un'altra ed è qui
che io m'aspetto: cinquantasette giorni all'alba e allora rinascerò
dentro, con tutti i miei ricordi, i profumi di mattine adolescenti
che mi ostino a difendere disperatamente nell'archivio della mia
memoria: si fa più presente mano a mano che invecchio. Non vedo
l'ora. Vado a controllare le fasi del sole nascente, della luna
calante, ogni giorno un minuto guadagnato, ogni sera un minuto
sconfitto. Vado ad affacciarmi sull'orlo di me stesso, fuggirei se
potessi per tornare di marzo, ma non posso e sto in questa tensione,
cominciata oggi e già invadente, logorante ancora, come ogni anno,
più d'ogni anno se s'assottiglia il mio tempo e le primavere si
fanno contate. Forse è per questo, sicuramente per questo che
l'attesa divora più feroce. Non vedo l'ora, nei pomeriggi tutti
uguali, nelle albe livide e va ancora bene che il sole non è
mancato, mi aspetta quasi sempre fuori dalla finestra quando alzo la
serranda, tanto da farmi temere una Nemesi per il freddo che resta.
Soffro, ma è bella questa impotenza che impalpabile avanza. E se
pure la primavera sarà la solita fioritura di promesse mancate,
polline di me che fugge via nell'aria, non posso farne a meno, io
sono la mia attesa, l'attesa è la mia vita, la mia vita è nel sole.
Ed io non vedo l'ora.
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