"... sono veramente dispiaciuto che Tu non possa collaborare con la nuova
rivista di Stefani... certo le Tue spiegazioni, i motivi sono
comprensibili; per me rimane un vero peccato non aver sanato le
fratture... max ha l'esperienza di una vita al mucchio..non nego che un numero di
outsider (distribuzione permettendo) vorrei prenderlo..una curiosità: ho
letto l'articolo su iggy e mi picerebbe
veder postato ogni tanto qualche dritta sulla "Tua musica" del momento e
anche letture".
(tratto da una conversazione privata)
Non ho ricevuto alcuna proposta, ma credo che per quanto mi riguarda sia non improbabile, ma proprio impossibile. I
lettori abituali, che giustamente han di meglio da fare, liquidano
polemiche e veleni fra giornalisti con una frase di circostanza, e
attribuendo il deteriorarsi delle relazioni a banali questioni
economiche. Mi sta bene, ma quella, per quanto mi riguarda, è sempre
stata la punta dell'iceberg. Non è mai stata una questione di soldi,
non mi sarei lasciato allegramente sfruttare da tutti per tutta una
vita. Facciamo un po' d'ordine. Quando cominciai al Mucchio, chi lo
dirigeva mi aveva dato la possibilità di reinventarmi dopo diversi
anni da cronista. Di colpo, potevo proporre interviste, inchieste,
servizi ampi, seri, importanti. Se ne parlava. I lettori si
appassionavano, discutevano. Ricorderò per sempre l'affetto per me
alla festa dei 25 anni del giornale, all'Alcatraz a Milano (fin
troppo, e dopo quella sera qualcosa cambiò nei miei riguardi). Il
giornale mi pareva avviato a diventare quello che il Fatto non
sarebbe mai stato, una sorta di “Combat” davvero senza etichette
né riguardi di sorta. Mi sbagliavo, il Mucchio sarebbe rimasto una
delle tante testate inzuppate in un antagonismo recitato, infantile
e, col senno di poi, ipocrita. Ma intanto tutti si accorgevano di
cosa stavamo facendo, rigorosamente senza mezzi (almeno per quanto mi concerne), i
giornali grossi ci riprendevano a volte, le altre riviste di settore
ci inseguivano. Stefani pareva – pareva - difendermi da un ambiente
geloso delle proprie prerogative, che manifestava insofferenza per la
scelta di allargare il campo d'azione. Col tempo, il personaggio
avrei imparato a fiutarlo meglio: troppe volte mi metteva nei guai,
sempre con quell'aria di non farlo apposta. Ma continuavo a ritenerlo
un romano superficiale, facilone, sconsiderato, ma in fondo buono.
L'avevo invitato ad un convegno della Fondazione Caponnetto. L'avevo
invitato ad una rassegna da me organizzata sul Monte Amiata. Si
sfogava in continuazione, a proposito di una redazione che non lo
seguiva, che gli era completamente contro. Io rispondevo: se le cose
stanno così, o li fai filare dritti o li fai filare e basta, il
direttore sei tu, un giornale dove il direttore non ha voce in
capitolo non ha futuro. Lui mi diceva: non posso. Io restavo leale
non a lui, ma al giornale, secondo una disciplina che avevo imparato
prima e altrove: sapevo come sono i giornali e i direttori, mettevo
nel conto tutto quello che chi fa questo mestiere conosce bene.
Alla
fine, avrei preso ad infrangere anche i totem che non si dovevano
toccare: certi giudici, certi giornalisti, certi finti martiri,
eccetera. Avevo toccato con mano la realtà mafiosa dell'antimafia,
l'illegalità di certi movimenti legalitari, e mi pareva doveroso
darne conto. In particolare, avevo constatato che l'antiberlusconismo
forsennato era una farsa, serviva a preparare carriere, non certo a
tutelare la democrazia. Non ho cambiato mai idea sul Cavaliere, ma su
tanti che lo volevano morto, avendoli frequentati, sì. La cosa non
venne apprezzata, non fu tollerato che io mi schierassi contro gli
affaristi che ostentavano disprezzo verso Berlusconi ma non verso i
suoi soldi; fui il primo e l'unico a diffidare di fenomeni
ingannevoli quali Saviano e Grillo, che col tempo sarebbero emersi
per quelli che erano: ma intanto, si moltiplicavano attacchi,
insulti, campagne diffamatorie destinate a riverberarsi per
la rete (ironizzarono perfino su drammi personali: dov'erano, allora,
quelli che adesso si stracciano le vesti per una mia battuta
“scorretta”?).
Alla
fine, Stefani venne fatto fuori, dopo essersi palesato quale vittima
sacrificale di ingrati. Mesi dopo, fui cercato, lo sottolineo, dalla
nuova dirigenza, e chissà come mai, e accettai di riprendere il
rapporto, sia pure alle condizioni economiche mortificanti che ho
precisato altre volte. Mi fu fatta firmare l'uscita dalla
cooperativa, e fu l'unico atto mai siglato da me. Nel frattempo,
Stefani non la finiva di chiedermi aiuto, in prospettiva: sì, se fra
due o tre anni farai un nuovo giornale, potrò darti una mano, gli
rispondevo. E dei patti intercorsi non sapevo un accidente, e ci
restai secco a conoscerli.
Venne
la fine del 2011, l'ex segretaria di Stefani, autopromossasi ad ogni
carica, mi chiese di continuare a lavorare, completamente a titolo
gratuito. Me ne andai senza una parola, ero talmente nauseato da aver
deciso di farla finita con questo mestiere: a maggior ragione dopo
che Stefani si era messo a far circolare mail con i compensi,
assurdi, incredibili, che attribuiva a se stesso e più in generale
alla dirigenza interna del Mucchio. Sempre lo Stefani aveva preso a
spendere il mio nome, non autorizzato in alcun modo, per un prossimo
giornale. Anzi, io avevo proprio messo nero su bianco, nel primo post
del 2012, sul mio blog “Babysnakes” (il pezzo sta qui), che non
avrei più dato seguito a niente in questo mestiere, tanto ero
esasperato. L'ennesima disinvoltura dello Stefani non mi piacque
affatto, e fui costretto ad invitarlo a smetterla, per la semplice
ragione che volevo chiudere definitivamente ogni pendenza e rapporto.
Inoltre, io non avevo proprio voglia di ricominciare, tantomeno con
uno che avevo imparato a conoscere per quello che era.
Ma lui insisteva sostenendo di avere capito i
suoi errori, di avere un disperato
bisogno di lavorare, che gli emolumenti postumi del Mucchio erano
sfumati. Contemporaneamente la sua ex rivista, tuttora capace di
ottenere centinaia di migliaia di pubbliche sovvenzioni, si lanciava
in una incredibile quanto mortificante campagna di accattonaggio
rivolta ai lettori, dal nome destinato a rimanere sinistro: Io sto
nel Mucchio. Un sollievo, non averla avallata.
A
fine marzo, o inizio aprile, pressato indirettamente da terzi (ricordo una intrigante davvero squallida), accettai di
collaborare ancora. Credevo sul serio che la lezione del Mucchio fosse servita, e va tenuto presente che io pure avevo voglia di rimettermi in gioco, di riprendere a
lavorare; di sentirmi vivo. Lavorai, infatti, come un pazzo, con un
entusiasmo che non ricordavo da anni, per un mese intero. Misi
insieme una redazione da zero, trovai i collaboratori, ne coordinai
il lavoro (Gabriele Barone può testimoniare, Natalino Capriotti
pure), scrissi molto io stesso in vista del primo numero di questo
nuovo “Suono”... Salvo ricevere una mail neppure diretta, ma
copiata e incollata, con la quale lo Stefani si tirava indietro: lui
andava a fare il condirettore, con tanto di stipendio, ed io restavo
a fare barchette di carta, con le mie belle illusioni. Così misi
tutto insieme, anche gli “incidenti” in anni di Mucchio. E capii
che, una volta di più, e una di troppo, Stefani si era servito di
me. Per cosa? Per vendere fumo, per accreditare, usando il nome mio e
quello di altri, il suo nuovo progetto (che in realtà non c'era),
per dimostrare che tornava con grandi ambizioni; e, chissà, forse
anche per fare un dispetto al Mucchio, per dar l'aria di avermi
sottratto a quella che era diventata la sua peggiore concorrenza. Ma
con quelli così, non c'è proprio niente da fare, sono
irrecuperabili: gli scrissi due righe, precisando che quella era
davvero l'ultima goccia, e di non cercarmi mai più, che si era
giocato forse l'unica persona leale; lui mi rispose millantando
ancora nuovi, mirabolanti progetti da realizzare insieme. Lì mi fu
chiara finalmente, tutta insieme, la natura di questo individuo, che
magari ha avuto anche sinceri slanci nei miei confronti, come
traspare dalla sua autobiografia, ma li ha sempre rovinati con quella
sua compulsione a servirsi di tutti, a mettere gli uni contro gli
altri, a trafficare come il Mandrake di Gigi Proietti.
Così
stanno le cose, e anche di tutto questo ovviamente conservo il carteggio completo.
Ora, c'è
una differenza, impalpabile ma decisiva, tra coglionaggine e
opportunismo. L'opportunista si arricchisce o almeno spreme qualche
vantaggio, non fa niente per niente. Resta a difendere
l'indifendibile, finché gli conviene. Io me ne sono sempre andato, a
volte prima ancora di cominciare. Non giocando sulle alternative. Non
possedendo mai nulla. Non chiedendo nulla. Senza far fuori o
pugnalare alla schiena chi bene o male m'aveva allevato. E senza fare
il megafono di nessuno, altro che “contiguità ideali” o altre
insinuazioni di schiuma, magari proprio da chi si ostina nella
contiguità attuale, oltre qualsiasi imbarazzo. A meno che non fosse
una colpa saper fare il proprio mestiere, che poi consiste nel farsi
seguire da chi legge. Ed è cialtronesco il discorso per cui “io
sapevo e quindi tu non potevi non sapere”. Certe chiamate di
correo vanno dimostrate, altrimenti c'è la diffamazione. Io, che
non frequentavo nessuno, sapevo solo che non c'erano mai soldi, che
il giornale costava, che bisognava fare sacrifici, che eravamo tutti nella stessa barca, che toccava
accettare compensi da fame e pure ribassati da un giorno all'altro,
de facto, senza alcun atto ufficiale. Così come è grottesco che le
responsabilità delle connivenze vengano ora dirottate su chi
lavorava, sulle vittime di questa situazione. Se poi, a qualcuno che
sostiene di sapere, girasse meglio, non so neppure questo e non me ne
curo. Per quanto mi riguarda, questo mestiere mi ha tolto tutto e non
mi ha dato niente. Se qualcuno vuol venire a vedere come vivo io,
ebbene che venga pure: gli faccio anche spulciare tante mail e
perfino i miei accrediti sul conto corrente degli ultimi 15 anni.
Venisse. Lo aspetto.
Tu, uno dei pochissimi che può definirsi "giornalista" in questo Paese.
RispondiEliminaVorrei sapere chi poter ringraziare, per questa stima; io non mi sono mai considerato nè ho voluto essere un giornalista. Avrei preferito un cantastorie di parole, uno che tiene compagnia.
RispondiEliminaMi dispiace davvero, considerando soprattutto che sei uno preparato e che scrive più che bene. Io non capisco come mai quelli del Mucchio ce l'hanno con te: ci tengono così tanto a Saviano? Ma adesso, quindi, non fai più il giornalista? Eppure ricordo un periodo in cui andavi spesso in tv, su la7 in particolar modo, se non ricordo male. La gente ti conosce. Un in bocca al lupo.
RispondiEliminain tv ci sono stato tre volte e mi sono bastate. non fa per me. il giornalista lo faccio ancora, ma a modo mio. del resto, oggi siamo quasi tutti più abbandonati a noi stessi, e dunque più liberi. grazie per il sostegno.
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