Per
molto tempo, sul finire della prima repubblica, andò di moda fra
intellettuali e giornalisti un refrain: questa borghesia mercadora,
questi industriali prendono tutto e non danno niente, protestano e
non propongono, mai uno che si spenda in prima persona per il Paese.
Scese in campo Berlusconi e si misero a fargli una guerra forsennata.
Non che i motivi mancassero, anzi ce n'erano fin troppi: ma gli
intellò di cui sopra s'accorsero che gli industriali, quando
sbarcano in politica, si portano sempre appresso alcuni macigni
chiamati conflitto d'interesse. Si arrivò al punto da criticare il
Cavalier Deboscio con un argomento squisitamente allucinante, alla
luce delle giaculatorie precedenti: almeno Agnelli e gli altri fanno
e disfano ma restando dietro le quinte e non si sporcano le mani
direttamente. Tipico della nostra classe intellettuale, stracciarsi
sempre le vesti delle proprie contraddizioni. Non se ne veniva fuori,
e i suddetti pensatori, nel frattempo passati ad indignarsi
doppiamente, e marxisticamente, sia contro la politica ladra sia
contro l'industria che la surrogava, presero ad invocare, a suon di
girotondi, la “società civile”, questa categoria dello spirito
della quale si diceva vi fosse gran bisogno: “E' ora che la gente
si dia da fare, sono i cittadini il meglio di questo Paese, la
politica ha fallito, il padronato pure, adesso tocca a loro, anzi a
noi!” (gli intellettuali, quando vogliono, sono più populisti dei
più populisti tra i politici populisti).
La
società civile, a conti fatti, risultò composta da: ex giudici già
frazionati in correnti politiche in seno all'ANM, che avevano sempre
fatto politica, finalmente
politici dentro e fuori, autentici fuoriclasse tipo Tonino di Pietro,
Gigino de Magistris, Totonno Ingroia; preti manager superpoliticizzati alla don Ciotti o
affumicati alla don Gallo; figli di cognomi, come Benedetta Tobagi ed
altri, di professione pseudovittime, “viptime”, le chiama il mio
amico Massimo Coco per dire vittime di carriera, eredi di vittime
vere che hanno messo a frutto traumi infantili forse neppure vissuti.
I risultati furono un po' così, per chi si accontentava, tipo venire
iscritti fin da bambini alle redazioni dei giornali importanti o
finire a lottizzare la Rai per conto di qualche partito,
preferibilmente il PD ma non erano disdegnati altri simboli,
eventualmente composti per l'occasione, tipo Rivoluzione Civile
dell'ex toga, cittadino Ingroia. Il risultato più emblematico di
questo viptimario da società civile manovrata dalla politica è stato l'inconsistente, ma scialbo,
Umberto Ambrosoli per le amministrative regionali lombarde.
Alla
fine, estenuati tutti i filoni già percorsi, sono spuntati i
grillini, salto di qualità sul quale soffermarsi oltre sarebbe
complicato e, tutto sommato, pleonastico (non è una parolaccia). Ha
ringhiato in faccia allo smacchiatore Bersani la capobranco 5 Stelle
Roberta Lombardi, una che mentre va cambiando l'Italia smarrisce il
portafoglio e casca nel panico: “Noi non negoziamo con la società
civile, noi siamo la società civile”.
Se
così (e sottolineo se), allora diremmo che la vostra occasione l'avete avuta, l'avete
bruciata più veloce della luce, per i prossimi settant'anni state
fuori dai coglioni, please. Lasciateci maledire serenamente quelle teste di cazzo dei politici genetici, e morta lì.
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