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DANZA DELLA PIOGGIA


Così schiacciato contro le pareti dell'inverno sento un'altra mancanza, di un'altra pioggia, che ticchetta sul balcone. È maggio, sto aspettando di avere 20 anni, non so neanche perché, forse la cifra tonda, forse perché sto sciogliendo le ali, non ho ancora niente ma tutto m'appartiene, anche le occasioni perse, anche la felicità per la mancanza della felicità, per la scommessa dell'attesa, è meglio aspettare di avere 20 anni che di non averli più. È maggio e sul mio piccolo balcone piove ma non fa male, posso uscire fuori e sentire l'aria bagnata, e tiepida, e umida, di quel sapore d'acqua satura di polvere e cemento che c'è solo in città. È maggio, piove e ho la testa piena di canzoni e tutto il tempo davanti. O così credo. Invece sbatto gli occhi un attimo e mi ritrovo in un viale dell'inverno, e nella testa, nelle orecchie ho “Quale allegria” di Lucio Dalla e questo posto non è mio e io non sono di questo posto e questa pioggia non è quella, non ci sono balconi, non ho vent'anni, ne ho più del doppio e un'altra metà, e ho voglia di urlare. E non ci vedo bene, sbaglio a schiacciare i tasti di questo cellulare dove sto scrivendo il mio urlo. E vorrei spaccare la faccia a qualcuno. E mi sento l'ultimo uomo al mondo, il più inutile, il più solo. Anche la mia ombra è andata via da me. E mi gira la testa in un valzer di visioni e questo viale di tempo non c'è mai stato, io non sono mai stato, adesso mi metto a ballare sotto questa pioggia ostile, del color del nulla, questa pioggia di ferro, per vedere se qualcuno se ne accorge, se succede qualcosa, se vengono due uomini bianchi con la camicia dell'inverno e mi prendono, mi parlano, mi portano via.

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