E ora, chi potrà chiamarlo più nazionalpopolare? A Sanremo
quest'anno sbarcano le coscienze progressiste, anzi squisitamente
marxiste: Almamegretta, Daniele Silvestri, toh chi si rivede, Elio e le Storie tese, gli
Al Bano de sinistra del festival, Marta sui tubi, e anche, rieccolo,
Simone Cristicchi, forse coi minatori, e pure, rieccolo, Max Gazzé,
comunque fresco di liaison mediatica con l'ex ministro Giorgia
Meloni. Dite che c'entrano un tubo con la rassegna? Dite che hanno
sempre l'aria di quelli che ci scatarrerebbero su? Sì, ma che
c'entra. Quando qualcuno cambia registro, e non scatarra più sul
piatto perché ci mangia anche lui (al festival si venderanno pochi
dischi, ma due serate fruttano 40mila euro minimo), si dice sempre:
che c'entra. C'è la maturazione, il rinnegamento dello snobismo, il
desiderio di portare la propria arte anche a strati popolari diversi,
anzi penalizzati. Sempre nel senso della coerenza, anzi della
continuità. E poi quest'anno c'è Fazio (rieccolo), c'è la
Littizzetto (rieccola), c'è Saviano che fa il consigliere Rai di
Passera e di Bersani, il quale se ne vanta, c'è tutta la compagnia
di giro di Che tempo che fa, quella della sinistra PD, quella
dei De Benedetti boys and girls, quella delle primarie, quella che
garantisce il buon governo, insomma: tempi nuovi, vie nuove, e loro ci saranno.
Duri, puri, mai raccomandati, mai organici, sempre alternativi al
sistema. È merito loro, se quest'anno Sanremo anziché
nazionalpopolare sarà popolarnazionale. Rivoluzionario, perfino.
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