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L'ALTRO POSTINO

Tutto resterà impunito

Oggi ho rivisto la mia postina e ne ho provato un piacere proprio fisico e gliel'ho anche detto: lei si è un poco imbarazzata, aveva capito. Nessuna tresca e nessuna cattiva intenzione: è che nei suoi giorni di ferie la sostituiva un bove, pingue, trasandato, irsuto, che distribuiva la corrispondenza a caso lungo le vie del quartiere: a me, una busta destinata a mia moglie è toccato andarla a raccattare dal tabaccaio, non si è capito per quali congiunzioni astrali. “Lo so, una tragedia”, ha detto la postina ritrovata cogliendo il mio sollievo. L'imbecille che ne faceva le veci era con tutta certezza un raccomandato, il quale, come tale, non aveva alcun interesse a lavorare come Cristo comanda e a lavorare tout cour. Stava lì, era già tanto che arrivasse col motorino – difatti spesso non arrivava. Questi sono i prodigi del pubblico-privato all'italiana. Perché le Poste, come tante altre cose, sono state privatizzate ma restando in mano pubblica, cioè confluendo nella mafia di Stato. Dove, secondo costume, nessuno risponde di niente, chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori. Così è praticamente per tutto (sarà un caso, un mistero, ma io appena metto piede in una scuola – pubblica, pubblicissima - faccio il pieno di lamentazioni: e a lamentarsi sono sempre gli insegnanti, verso gli altri insegnanti e verso il preside).

E non c'è speranza, alternativa, via d'uscita. Sento i nostalgici del comunismo rabbrividire: no, la privatizzazione (della sanità, dell'energia, di sua sorella) no, questo liberismo ci uccide, questo postcapitalismo ci insterilisce. E lo statalismo no? Forse che le bollette dell'acqua, per dirne una, lasciata in esclusiva mano pubblica, non sono esplose in questi ultimi tempi, anche per mantenere la pletora di enti territoriali inutili e dissennati (le province su tutti)?
Da false privatizzazioni derivano false alternative: un po' come quella tra legalizzare e proibire le droghe, ormai entrate nel paniere Istat. Sono false alternative per come vengono poste, anzitutto: fare entrare apporti e capitali privati nella gestione (non nel controllo o nella proprietà, attenzione a questo punto sostanziale) di qualcosa, ci può stare, anzi ci sta (e infatti altrove nel mondo si fa), perché ormai i sistemi-paese sono al collasso e non riescono quasi più ad erogare niente, con la bella conseguenza che poi arriva un Monti e comincia a tagliare ai poveri per dare allo stato, che non capisce un tubo e i cui tubi sono tutti bucati. Solo che, numero uno, il privato in Italia quasi sempre funziona non meglio del pubblico e cioè da schifo; numero due, il pubblico in Italia, salvo angeli isolati che non fanno un Paradiso, funziona non meglio del privato e cioè da pietà.

Succede che queste “privatizzazioni”, tra molte virgolette, sono il gioco delle tre carte dello Stato che continua a controllare tutto, imbarca se mai capitali privati e le perdite continua a spalmarle sulla popolazione, detta anche cittadini, detti anche utenti, non detti in realtà sudditi. O schiavi. Così son buoni tutti. È semplicemente un rifluire delle tante mafie private nella supermafia pubblica: ma il fossato tra chi comanda, chi eroga (ed è garantito a vita) e chi invece riceve ovvero subisce, resta incolmabile. Merito, efficienza, reperibilità, qualità del servizio nel settore pubblico sono di norma assenti; e in un carrozzone pseudoprivatizzato che in realtà rimane a mano pubblica, non ne parliamo. Voi pensate che, avessi io sporto regolare reclamo allo sconosciuto postino succedaneo, del quale non era dato conoscere l'identità, tra l'altro, alla faccia della legge che lo prevede, avrei ottenuto qualcosa oltre le pernacchie? Ma se ho visto io, coi miei occhi, bigliettai prendere allegramente a calci – la sigaretta in bocca - i sedili di un intercity insieme ai paisà casualmente incontrati sul treno. Qui, una volta che sei entrato, niente ti appartiene e niente ti pertiene. Il postino succedaneo era tronfio, arrogante le rare volte che si è degnato di comparire. Sapeva di non rischiare niente. Sapeva che non avevamo controllo su di lui, mentre lui, in ragione della funzione che ricopriva, aveva controllo su di noi. Poteva boicottarci, poteva boicottarci. Di fatto, ci danneggiava anche senza motivo, non per ritorsione ma così, per incapacità genetica.

Mi fanno ridere quelli che si atterriscono all'idea di una qualsiasi “privatizzazione”. Dovrebbero caldeggiarla, al contrario: la versione italiana prevede minimo sforzo, massimo risultato, assunzioni nominate e truccate, garanzia fino alla pensione e oltre, nessuna responsabilità, nessun problema. Una sinecura, pubblico-privata. Sarebbe da cambiare le regole, introdurre controlli veri, responsabilità autentiche, meritocrazia genuina, tutela sì ma nessuna blindatura sindacale, insomma chi sbaglia paga e chi fa bene incassa. Sarebbe da precisare, e distinguere, ruoli, funzioni e prerogative, in modo che l'ombrellone pubblico non finisca per coprire sempre le magagne e le ruberie del privato (sul privato, alla lettera: il cittadino privato dei diritti e del servizio). Sarebbe da non considerare il carrozzone del caso ora pubblico, ora privato, alla bisogna. Ma non sarebbe più un ibrido all'italiana, non saremmo più nel paese dell'irresponsabilità al potere.

Commenti

  1. il pubblico è regolato dalla legge dell'irresposabilità a tutti i livelli, l'importante e'farsi raccomandare per entrare e poi tirare a campare
    lampante la scuola ove i problemi sono solo quelli del personale, mica quelli dei fruitori del servizio, cioè gli alunni e le loro famiglie....mai una volta che si ponga nel pubblico al centro delle preoccupazioni la qualità dei servizi erogati e, quando viene fatto, è solo strumentale a garantire rendite di posizione, incrostazioni corporative....il cittadino viene citato solo per mantenere lo status quo dell'irresponsabilità, la scusa della tutela del servizio (quale servizio ? quello scadente che il cittadino suddito deve subire, nella sanità, nella scuola ecc ecc ?) viene utilizzata per giustificare e mantenere caste, privilegi, guarentigie !

    c'è un momento nella storia che il diritto alla ribellione deve essere fatto valere, è un diritto naturale quando la misura è colma, come ora !

    nei tuoi pezzi leggo sempre lucide analisi, che condivido in toto, ma manca il finale, l'enunciazione del diritto alla ribellione, perchè la rassegnazione non può essere l'unica prospettiva dei più....con stima

    Forrest Gump

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    Risposte
    1. In questo paese anche la ribellione sarebbe all'italiana. E finirebbe all'italiana.

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  2. Massimo, cosa ne pensi di Fermare il Declino?

    Daniele Martines

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