Accogliamo con amara
soddisfazione l'evaporare dell'immondo governo Monti. Amara, perché
il Cavalier farabutto l'ha sbalestrato anzitempo per se stesso, mica
per noi. Amara, perché quello che si poteva perdere, in un ultimo
anno di residua speranza, è stato perso. A trascurabile parere di
chi scrive, questa resterà la pagina più schifosa (perfino più di
quelle scritte dal predecessore) in una storia patria mortificante. E
le umiliazioni e il dolore che ci sono stati ulteriormente imposti,
non serviranno. Fatalmente i partiti conteranno sul finto risanamento
operato da questo cretino, per rinsaldare le proprie posizioni:
niente più tagli degli enti periferici ed anzi ulteriore pompaggio
di burocrazia, spesa pubblica eccetera. Sono gli effetti perversi che
seguono ad una politica economica perversa. E dureranno all'infinito,
senza portare un solo vantaggio. Monti, ometto arido, limitato,
inconsistente, ha lavorato per puntellare un sistema corroso, del
quale è un prodotto: non certo per “salvare il paese”. Il paese
l'ha violentato, e adesso se ne va (ma vedrete che resta, resteranno
tutti) da perfetto impunito: possiamo solo riservargli qualcosa di
molto inferiore al compatimento e al disprezzo, perché questi sono
sentimenti che si riservano a chi li merita.
Tanto ribadito, mi preme
puntare l'attenzione sul futuro già in corso.
La Rai non la prendo da
un anno, da quando mi è stata democraticamente imposta la favolosa
innovazione del decoder. Non capto, ma dovrò pagare il canone, si
capisce. Non captando, mi restano i tg Mediaset, La7 spostata
dall'indipendente Mentana da Grillo a Monti, e il tg com 24. Qui
capito all'ora di pranzo e c'è Berlusconi che fa un comizio a
Milanello, dove s'allena il Milan, in mezzo a una mattina gelida,
brumosa, fangosa e lui parla, parla di tutto, risponde alle domande,
scherza ma con moderazione, soprattutto è paziente, non si sottrae,
argomenta. Sta in mezzo alla gente. Ho già capito come affronterà
la sua campagna elettorale, già cominciata. Nell'epoca della
popstarizzazione del leader, che spostano la comunicazione dalla
televisione ai social network e affittano teatri per le loro
performances, lui torna a schemi da dopoguerra: la modernità è
antica, l'antico è il futuro. Vedrete che la sinistra, spocchiosa,
sussiegosa, resterà ancora spiazzata. Naturalmente Berlusconi, non
c'è bisogno di ripeterlo, torna per salvare un impero che
scricchiola, e anche perché, dedicandosi al casino (alla lettera) e
agli affari privati anziché alla politica, non ha saputo, potuto,
voluto trovare una alternativa a se stesso. Però io, da quel poco
che vedo, non darei più tanto scontato il trionfo, strombazzato, di
Bersani. E neppure di Grillo, per il quale, a proposito, se basta un
centinaio di voti via web a spedire in Parlamento cretini o parenti,
allora è segno che la democrazia proprio non funziona.
Quello che conta, nelle
elezioni, non sono (purtroppo) le idee, non contano neppure le facce
(purtroppo) e i relativi curriculum. Quello che conta è l'apparenza,
l'impressione, la sensazione di quanto vicino il leader, oggi popstar
o santone, sappia proporsi al pubblico-elettorato. Possibilmente
intrattenendolo, che è la prima se non l'unica cosa che gli italiani
pretendono da chi se li compera. Berlusconi, il suonato Berlusconi,
sembra averlo capito ancora una volta prima degli altri. Nessuno lo
noterà, ma l'immagine del milionario nel fango di un campo di
calcio, con la gente tutta intorno che lo ascolta, che può toccarlo,
è rivelatrice, è cruciale. Fossi nei tracotanti boss della
sinistra, non la sottovaluterei. Invece la sottovaluteranno, tornando
a ironizzare con ritrovata grazia e a battere su quel conflitto
d'interessi che proprio loro hanno mantenuto, legittimato,
istituzionalizzato. A questo punto, incolpare Berlusconi di essersi
tenuto il suo vantaggio sarebbe assurdo. È la sinistra, che va
incolpata del conflitto d'interessi divenuto concerto. Un concerto la
cui musica stava bene a tutti, ma davvero a tutti, sia per questioni
di immagine che di portafoglio: non è mai uscita una anagrafe
finanziaria dei politici, in modo da sapere chi avesse quante azioni
Mediaset nel proprio patrimonio. Forse, ne avremmo avuto deliziose
sorprese. Questo non è un paese-mela, rovinato da un verme che la
baca. È tutto un verme enorme, colossale, fatto di tanti
vermiciattoli che tutti insieme hanno ingurgitato la mela-paese.
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