Ho letto quest'estate un libro impegnativo, affascinante e irritante,
“Noi siamo il nostro cervello”, del neurobiologo olandese Dick
Swaab. Un viaggio nei meandri della mente, dentro il nostro organo
più spaventosamente sofisticato, al punto da fare impallidire, e
chissà per quanto futuro ancora, il supercomputer più evoluto.
Sofisticato ma fragile in proporzione, esposto ad una infinità di
condizionamenti. La conclusione di Swaab è spiazzante: noi non
abbiamo alcun libero arbitrio, la nostra massa cerebrale, che ci
condiziona appena comincia a plasmarsi, se non addirittura prima
ancora, va soggetta a tali e tante variabili – genetiche,
biochimiche, culturali, ambientali – da escludere una qualsiasi
facoltà di scelta pressoché in qualsiasi nostra attività. Se
questo è vero, allora i casi sono due: o ci lasciamo alla mercè di
quella strepitosa aleatorietà che si chiama “vita”, rinunciando
ad ogni sistema giuridico e morale; oppure ci teniamo i nostri
codici, per rozzamente razionali che siano, e cerchiamo di farli
aderire col minore scarto possibile alla realtà che non controlliamo
e invece ci controlla. Le valutazioni di Swaab non inficiano,
naturalmente, l'anomalia mentale ma gettano preoccupanti sassate
contro le vetrate della follia: è fin troppo facile intuirne la
sinuosità dei limiti, se è vero che la fragilità della nostra
mente non ha confini. Qui io dissento, o meglio prendo un'altra
strada: è, mi pare, tutta questione di intendersi sul significato
della pazzia. Se per tale s'intende l'incapacità di capire cosa si
sta facendo, e dei relativi effetti, allora i problemi si riducono
sensibilmente; non si eliminano, ma determinati criteri-guida
sussistono (e infatti a questi disperatamente ci aggrappiamo). Se
invece pazzia significa impossibilità di arginare i nostri atti,
stanti i condizionamenti di cui sopra, sui quali non abbiamo
controllo e di conseguenza responsabilità, allora, mi spiace, sarò
deterministico, sarò manicheo, sarò un ateo bigotto, ma non ci
sento più. Il criminale che ieri ha in una scuola americana ha fatto
fuori 29 persone, 22 delle quali bambini, uno dopo l'altro, in una
esecuzione continua e allucinata, sarà, appunto, allucinato, ma non
è folle. Per me è piuttosto un infame, un mostro col sangue
velenoso, che sapeva benissimo quel che faceva, e accettava di farlo.
Un perverso, un deviato. Non un pazzo. Uno che ha messo in atto,
freddamente, dopo averlo preparato, un massacro spaventoso, un gesto
che spaventa il mondo e che il mondo tende a derubricare alla voce:
follia. No, non ci siamo: se il criterio per il quale assolvere, o
comunque non punire, un criminale è la proporzionale crudeltà dei
suoi crimini, allora il primo innocente è Hitler. Non lo accetto, e
mi si potrà anche obiettare la fuga dalla realtà scientifica, dalla
razionalità scientifica: ma non credo di eccedere in furbizie
dialettiche se ribalto l'accusa, fuga è rifugiarsi nei meccanismi
biologici o, peggio, sociali, per spiegare qualsiasi cosa. Trovo pericolosamente ambigua, nonché contraddittoria, l'equazione
“comportamento socialmente inconcepibile uguale follia”, specie in un sistema dalle variabili non precisate. L'autiso di cui pare soffrisse il killer, è diventato rilevante solo dopo la strage.
Mi pare assai più onesto considerare che le società che covano
mostri, praticamente tutte, tendono ad autoassolversi dipingendoli
come eccezioni, infortuni, meccanismi finiti fuori controllo;
prodotti malriusciti di se stesse, li considerano le società anziché
fermarsi a sospettare se, per caso, quei mostriciattoli non vengano
partoriti da un mostro più grande. Una strada molto rispettosa e
anche molto vantaggiosa, dato che risparmia autentici conti con le
eventuali responsabilità Per questa strada sono più facili anche le
scorciatoie del politicamente corretto, la prima delle quali sta
nell'attribuire alla facilità di circolazione delle armi in America
simili stragi senza ragione. Qui c'è un salto logico non da poco,
anche se tutti fingono di non coglierlo. Detto da uno che non sa
neppure come si tiene in mano una rivoltella, non parliamo di un
fucile, e che a suo tempo scelse l'obiezione di coscienza, mi limito
ad osservare che, se uno vuole ammazzare i suoi simili, il modo lo
trova anche senza armi. Il “folle” sessantenne di Brindisi non
era armato, ha usato due bomboloni a gas per provare a far saltare in
aria una scuola, uccidendo una ragazza e martoriandone sei. Che
facciamo, proibiamo il gas per riscaldamento? Nessuna simpatia per la
armi da fuoco, ma non sono quelle che determinano o incoraggiano un
massacro; al limite, lo facilitano. Ma relativamente. Forse il
problema vero è quello che cova la società americana, il ventaglio
di valori sui quali si basa e come questi valori sono venuti
evolvendo nel tempo, a partire da una certa qual presunzione che
intende insegnare democrazia al resto del pianeta. E, forse, è
proprio questa attitudine a non voler essere messa in discussione.
Meglio scaricare la colpa sulle armi. Meglio ancora, su quei
labirinti di possibilità che sono i nostri cervelli. Ma a me tutto
questo sa di esistenzialismo in pillole: sono chi sono e soltanto chi
sono e questo è tutto quello che sono. Anche così, anche chiamando
in causa la follia, comunque, puntare il dito sulle armi si rivela
una soluzione debole.
si si , scegliendo una scuola elementare ha volutamente , coscientemente voluto fare il male maggiore , come provando un sadico piacere nel compiere una cosa che sia più aberrante possibile; chissà , forse se avesse potuto avrebbe scelto un asilo nido.
RispondiEliminaPerò è anche vero che ammazzare oltre 20 persone senza pistole, è praticamente impossibile!
RispondiEliminaInsomma, forse senza armi da fuoco avrebbe ucciso "solo" la madre, che a quanto pare era il vero e principale obiettivo dell'odio di questo ragazzo autistico
Nei lager non risuonava un solo colpo di pistola
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