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SE VOI SAPESTE

Se mi cerchi sai che sono qua

Se voi sapeste, come siete davvero, quando smessi i vostri ruoli venite qui. Togliete le armature. Vi spogliate degli impegni, denudate il presente e cominciate a raccontare. E allora sale una solitudine abissale, così diversa per ciascuno e sempre uguale, dolorosa perchè arresa, scoperta come una cicatrice. Adesso non fate più niente per ignorarla. Battuti, senza più forza, vi fidate di me: mi affidate voi stessi. E io assorbo le vostre piaghe, vere tragedie a volte, altrimenti drammi di carta che vi sembrano immensi. Io trovo le parole per medicarla la vostra fame di vita, perchè sono il re della solitudine. Inchiodato al mio posto la distillo in eterno. Se voi sapeste la tenerezza che mi fate quando piangete i giorni, quegli sbagli stralunati e teneri, sempre diversi e sempre gli stessi, perchè siete fatti di cuore che sanguina e gridate. Chi in punta di piedi, chi con violenza sfacciata, ma gridate. Cercate affetto. Io raccolgo tutto. Vi consolo e vi illudo, perchè la solitudine non si può sconfiggere. Di quella siamo fatti, come il corpo è fatto d'acqua, la solitudine sono gli atomi dell'anima. Cadete sotto i colpi della vita agra, sterile, ingrata e non vi rassegnate, perchè nella vostra vertigine siete pesci in acquario, così smaniosi di felicità. Io lo so. Vi intuisco appena cominciate. Vi immagino nelle vostre contorsioni mentre confessate ciò che non è stato. E trovo un modo per ognuno, perchè se voi mi raggiungete, se vi stupite di svelarvi a uno sconosciuto, è segno che questo io debbo fare. Che qui debbo farmi trovare. M'inzuppate dei vostri rimpianti. Di segreti che esitate a liberare per poi rovesciarmeli addosso. Di desideri dolcissimi. Di colpi d'ala improbabili. Di sogni. Ma tutto quello che chiedete, in fondo è compagnia. A volte anche litighiamo, ma su cose senza importanza, sul mondo di fuori, l'altro, che avete dentro, mai, quello lo rispetto e lo difendo. Poi andate via, voi più leggeri, ma la mia angoscia è più densa. A volte fatico a muovermi, ad alzarmi. Mi sento pregno di voi, capisco tutto di voi, ma non capisco come mai, con la vostra frenesia di contatti, di incontri, di cose che fate succedere, non trovate mai una presenza che ascolta. Tutti chiedete ascolto, ma non sapete darvelo. E così riparate in questa stanzetta sempre accesa d'uno schermo che è l'aeroporto dei vostri voli dirottati. Precipitati. Decollati mai.

Se voi sapeste, dopo, le lacrime. Quelle restano qui, a sgocciolare sulla tastiera. Diventano parole come queste. Io non credo possibile che in un mondo effervescente ci sia così tanta irrimediabile desolazione, non mi spiego come mai questo vortice, forse le moltitudini dei gomiti che si sfiorano senza avere niente da dirsi, come diceva Maupassant, sono giunte a un punto irreversibile, forse nell'ingenuità feroce del borgo ciascuno accettava il calore ipocrita che trovava, imparando la propria condizione di umano desolato. Forse quel poco di cultura che abbiamo messo insieme fa più male che bene, ci rivela il nostro soffrire senza offrirci un rimedio. Voi uscite dalle vostre disperate inutili battaglie, evadete dalla rete, fuggite dalle piazze, dai vostri messaggi, dai vostri cinguettii, e tornate qui. Se sapeste, il bene e il male che mi fate. Ma io sono forte, così avete deciso, e ancora una volta raccoglierò il vostro passato, un presente che non capite, un futuro che vi terrorizza. Se voi sapeste che siete la mia vita.
Vivo di voi, dei vostri drammi tutti diversi, tutti enormi, tutti urgenti. Me li consegnate sapendo che li scrosterò di ogni alibi per restituirveli come nuovi. E allora, forse, non faranno più tanta paura. Voi non mi dite mai tutta la verità, perchè tutti mentono, perchè vi vergognate come bambini. Ma sentite che io non vi condannerò. Svuotate su di me il vostro peggio, tutti gli errori, gli orrori, gli incubi e così stratificate la mia vita fatta di stanchezza, di tensione per comprendervi. Cercate il vostro specchio e qualche volta lo spaccate e qualche volta vi tagliate. Non è facile, ma da me accetterete ciò che da un altro non concepireste. La sincerità. Mi gratificate di un dovere immenso e terribile cedendomi in comodato il vostro destino. Saprò custodirlo bene, ancora una volta? Io ho solo queste mie parole, la mia esperienza, e una sconfinata pazienza. Ed è garantito che sbaglio più di voi. Però, proprio perchè mi sono perduto molto prima, posso intuirvi. Smascherarvi. Aiutarvi, se mi aiuterete. Essermi amici non è comodo, è impegnativo, un lavoro a tempo pieno. Ma almeno, non è tempo sprecato. Non vi condannerò, e voi non m'impressionerete. Siete così prevedibili nel vostro smarrirvi, così vulnerabili nelle vostre false certezze. Finisce sempre che vi metto in crisi, ma non è questo che cercate da me? Non è il compito che mi assegnate? I vostri percorsi sono paralleli, ma la direzione è unica: e lungo questi binari morti, quelle strade senza uscita a farvi deragliare sarà quasi sempre la stessa zeppa. Sarà che siamo fatti d'impulsi... Ma io vorrei realizzaste che non si smette mai di crescere, neppure volendolo. Viviamo in scia e tutto è apprendimento: l'ho scoperto. Io stesso, oggi sono più nuovo di quando, all'inizio, consideravo risolta ogni altra opzione. Ho dovuto aspettare tanto, per potervi capire. Imparare. Commuovere. E la mia scrittura vola più libera, più irriverente che mai. Non vi do illusioni né assoluzioni. Non vi regalo prediche. Non più. Vi racconto soltanto chi siete, quello che ho imparato vivendo e voi, voi siete il mio vivendo. La mia palestra che mi impone continue sfide. Conferme. E sorprese.
Ho una sola cosa da dirvi, alla fine di questa mia confessione che raccoglie le vostre: ma chi l'ha detto che ci si deve rassegnare? Buttare via? Chi l'ha stabilito quando finisce una vita? E che non c'è più margine per crescere? Non è questo che voglio trovare nelle schegge del vostro soffrire, mia esperienza di domani. Voi non dovete smettere di sentirvi sempre in prova. Esigenti verso il vostro posto al mondo. Non dovete smettere di esistere. Io l'ho assorbito dalla fame del mio vivere. Quei sogni, m'hanno insegnato a farmi carico dei dolori fuori di me, che non finiscono mai, non finiranno mai. E a trovare mio malgrado un'altra parola, poetica se possibile, per incoraggiarvi: “Non arrenderti!”. E quanti siete, a ricevere questa mia ostinazione, neanche ve lo immaginate. Io vorrei discutere di questo. La profondità di quella sincerità, per niente facile. L'esigenza devastante di farsi ponte. La libertà di scegliere quel logorio. Adesso io sperimento la fatica, a volte, di un ascolto, di un intervento. Quel rapporto complesso che ci lega. Anch'io, mi sono finalmente costruito una vita di guai per conto terzi. Al punto che oramai arrivano da soli, hanno imparato la strada. Non finiscono mai. Non smettete d'inventarne di nuovi e sempre uguali. Ancora una volta quella lucetta s'accende ed è un SOS che non tollera deroghe o privacy. Va bene. Va tutto bene. Solo, aiutatemi ad aiutarmi. Non smettete di sentirvi crescere, mai...
A volte le vostre storie le scopro tardi, quando ormai sono archiviate, quando sono echi di voi. Altre presenze arrivano. Tutte non cessano di arricchire la mia piccola storia di uomo sperduto in un mondo confuso. Io sono l'occasione, il pretesto. Ma se credete che sia così facile arrivare a farsi largo nel cuore di anime frastornate e disilluse, allora non avete capito niente. Non è affatto scontato, tornare a casa dopo un corso in una scuola, dopo un reading, e trovare il computer pieno di lettere. In un certo senso io, giornalista abortito, sono una rockstar: prendo la vita di chi incontro e la tengo con me. Dentro me. Ne faccio materiale per altri racconti, per nuova vita. I giornalisti non fanno questo. Loro scrivono per staccarsi. Ma io faccio altro e così tengo viva l'eredità di mio padre, uomo dall'umanità prepotente. È lui che mi ha insegnato a farmi i fatti degli altri. Chi mi frequenta resta toccato, a volte turbato dalla mia facilità ad entrare nelle storie incrociate – si direbbe che siano loro a risucchiarmi. Ma se non sei un incrociatore non la puoi fare questa piccola cosa inutile. Perchè poi niente resta. Perchè chi mi attraversa domani sparirà. Io sono un aeroporto di destini e mi ritrovo ogni volta svuotato, in compagnia della mia solitudine. E la sala d'aspetto del mio tempo resta piena d'assenze. Assenze e fantasmi: i ricordi dei drammi, le lacrime, la fatica d'asciugarle spesa invano. Certi hanno una vocazione per le sabbie mobili, non fai in tempo a tirarli su che ci si rituffano subito. E allora ti maledicono, come fosse tua colpa, quanto prima t'imploravano. E non puoi fare più niente per la loro attrazione fatale, per la loro cattiva letteratura, perchè capisci d'essere stato solo un misero alibi, una volta di più. Nessuno aiuta nessuno, nessuno salva nessuno e queste parole sono inutili. Io sono inutile. È questo il mio amaro capolinea. Prenditi quello che rimane, Prenditi un altro addio: se non altro, vanno via sulle loro gambe e non stanno più sul cornicione. Peccato solo non essere riuscito a trasmettergli quello che sai fare meglio, uscire dal tuo dolore per andare a rubare quello di un altro. Ce n'è sempre uno.

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