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NOVEMBRE

Vago i prati malati

NOVEMBRE
Tengo una freccia nel cuore. Scoccata dal ramo ossuto di qualche albero morto di nebbia, perso nella brughiera: siamo a novembre, gli spettri corrono per la pianura fosca, oscura, atroce, corrono come pazzi, danzano cattivi, se la spassano nei mantelli che spazzano l'aria gonfia di pioggia. Che facce feroci, contratte ghigne di diavoli, coi segni della fatica sui volti senza carne, con le rughe dipinte sulla pelle grigia: la puoi trapassare, non sanguina più. E che risate sdentate, tra le ville crepate, quali maledizioni di maiali scannati, che stridori di corvi mentre il giorno affoga nel buio umido e il fumo sale dai campi. Adesso spunta la luna, e i cani urlano, si raccontano di quando banchettarono coi cadaveri. Chi è stato a scagliare la freccia? Io so solo che l'ho nel cuore, ha tappato il buco, non esce più niente. Vago i prati malati, sbuffanti desolazione, tra canneti e marcite, mi graffio la pelle dentro i boschi di faggi, mi insanguino d'acqua nera tra i rivoli sfuggiti al grande fiume, e come un folle parlo alle stelle, litigo con gli spiriti, mi nascondo in un fosso, corro a perdifiato nel nulla dell'erba scura. Mi perdo nella foresta, dove gli impiccati volano in altalena e strati di foglie gialle risucchiano i cappelli e gli scheletri sbattono le ossa come nacchere al suono del lamento di bambini perduti. Ombre mi assaltano, disegnano massacri vecchi di secoli, e sangue come vino cola dagli alberi, dalla scorza dei tronchi. Niente mi può salvare mentre mi strappo la freccia e un'altra parte dal bosco e mi raggiunge il cuore.

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