Costretto ad asoltar l'abisso |
Ma
tu se puoi non muoverti. Raccogli le schegge di quest'uomo di vetro
che ti taglia ma spesso va in frantumi, ipnotizzato da un passato
rotto. Costretto ad ascoltar l'abisso che dallo stomaco chiama, come
ossesso. A scendere dove l'apnea non basta. Oltre il limite
dell'autodistruzione. E a spaventare chi vorrebbe abbracciare. A non
trovarsi nello specchio spaccato. Ma tu non muoverti, restami nel
vortice della pazzia, della vita al contrario, del senso arbitrario
delle cose. Tutto quello che voglio è un po' di sole. E un po'
d'ispirazione che ogni volta svuoti i coglioni del mio vivere atroce.
Che presti il fianco al mio oscillare stanco. Questo volere senza
direzione, come un treno su un binario morto. Questo sperare nella
disperazione, questa preghiera nera, senza un Dio, che non può darsi
pace, e ha il fiato corto. La smania circolare di partire per un
viaggio dovunque che non viene. Di valicare notti vagheggiate, che
restano a languire nelle vene. Questo capolavoro di bassezza e di
gloria è la mia storia senza storia; immorale. E fa male il silenzio
quando è denso e assorbe l'eco di un deserto immerso: l'ho nel
cuore, onde di sabbia e tutto. E la rabbia esplode come un getto di
sangue contro il vetro che sono, che si spezza da solo e cade in
schegge. Raccogli i cocci, tampona ciò che puoi. Poi componi i
frantumi, uno per uno, rossi coriandoli d'anima sul muro.
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