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UNA POLEMICA LONTANA (MA NON TROPPO)


UNA POLEMICA LONTANA (MA NON TROPPO)
Dopo l'articolo Col cuore in mano. Il tuo, pubblicato su Babysnakes lo scorso lunedì 3 settembre, mi avete scritto in diversi chiedendomi dove poter reperire la polemica che Enzo Tortora mosse a Giorgio Gaber. È citata, con doveroso rimando alla fonte, nell'ottimo “Applausi e sputi. Le due vite di Enzo Tortora”, di Vittorio Pizzuto per Sperling & Kupfer. Per comodità la riporto qui di seguito, invitandovi comunque a leggere un gran bel libro, illuminante della complessa e atipica figura di Tortora, uomo coraggioso, insofferente, coltissimo e nobile, divenuto suo malgrado il simbolo di un dramma atroce, di un massacro di stato, rimasto impunito, che potrebbe tuttora annientare ciascuno di noi, e che oggi si preferisce, per intuibili ragioni, consegnare all'oblio. Una vicenda che non smette di allungare ombre spaventose, assai più urgenti di una polemica tutto sommato marginale.

"… quando Giorgio Gaber inizia a cantare che “I borghesi son tutti dei porci. Più sono grassi, più sono lerci. Più sono lerci più ci hanno i milioni. I borghesi son tutti...”, [Tortora] lo mette alla berlina senza tanti complimenti definendolo: “Un abile fiutatore di climi, di accadimenti, di umori. Qualcuno deve avergli detto che era forse il caso, per motivi di cassetta, di lasciare il Cerruti Gino per Marcuse, di barattare la “torpedo blu” e “i treni a gogò” con la atmosfere, assai più redditizie, della conflittualità permanente o delle rivendicazioni operaie. Chiediamo scusa agli operai, naturalmente: essere citati in uno spettacolo di pornocanzonette sociologiche è mortificante. Comunque il signor Gaber, chitarra in spalla, si dedica da tempo a quel tipo di “arte provocatoria” (i suoi esegeti la definiscono così) che poi non è altro che vuoto terrorismo. L'importante è offendere, sputare, menar fendenti a tutti: borghesia, Stato, istituzioni, fede, questura, e più i bersagli sono grossi più gli insulti devono essere sanguinosi, irripetibili. Tali da épater le bourgeois in omaggio alle orme del più vieto provincialismo, all'etica delle mezze calzette del “progressismo”. Ma sarebbe sbagliato prendere sul serio i canzonettari italiani. Sono, non a caso, i peggiori del mondo. Il signor Gaber sta attraversando un momento intellettualmente allarmante. Qualcuno deve avergli detto (e il guaio è che lui ci ha creduto) di essere un Prévert, un George Brassens, magari un poeta. Sarà opportuno ricordare, ai nostri canzonettari (una specie di armata Brancaleone dell'inganno) che, girato l'angolo di questo incredibile Paese che per farsi sputare in faccia li paga ancora a un milione e mezzo a serata, nessuno proprio li conosce. Per loro, tutto va bene: ecologia, Marx, cibi sofisticati, Dio, Vietnam. Si servono della parola “Vietnam” solo per far rima con gnam-gnam, ecco la verità. Insomma, cantando il signor Gaber non fa, tutto sommato, come il Narciso della favola, che rispecchiare, gigioneggiando, se stesso. Non c'è più avido collezionista di lire, nel mondo delle sette note, di questo “eroico” aedo che profetizza la fine della società usuraia ed ingiusta. Non c'è più pavido, “disimpegnato” personaggio, sul piano delle scelte personali, di questo “imbottigliatore di socialismi” che poi smercia e vende su microsolco con grossissimi margini di profitto. La teoria del plusvalore non deve valere per questi “lavoratori” notturni che aprono la bocca solo sessanta minuti in una balera, per l'importo che nessun operaio riuscirà mai a totalizzare in quattro o cinque mesi di lavoro? “I borghesi son tutti dei porci: più sono grassi e più sono lerci”. Ci creda, il signor Gaber: anche i magri e gli allampanati rientrano pur sempre nella categoria."

Commenti

  1. L'epoca di questo intervento di Tortora non è specificata, ma mi sembra di intuire che stia parlando del Gaber dei primi '70. Conoscendo gli sviluppi ulteriori dell'opera gaberiana, penso che non lo si possa certo accusare di essere un "imbottigliatore di socialismi", per quanto il sospetto, all'indomani della sua conversione all'impegno, fosse del tutto legittimo.

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    1. "Conversione all'impegno", come formula, è da fucilazione immediata.

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  2. I "Treni" a gogo' ? Casomai era trani (osteria in milanese) dove si serviva barbera... Refuso ?
    Lanzo

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    1. Ho riportato l'intervento di Tortora così come uscì, senza alcuna modifica. Anche il "Cerruti Gino", in realtà era Cerutti.

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  3. Ma sì... e poi De Andrè aveva la barca e la villa in Sardegna, e Guccini arrivava in Ferrari alle Feste dell'Unità, e bla bla bla...

    Eccheppalle con 'sta storia che uno non può avere successo senza però condurre una vita da monaco di clausura e ritirarsi dal mondo! A mio modo di vedere gli artisti sono tra i pochi che - se guadagnano bene - non devono vergognarsene. Per la semplice ragione che nessuno mi obbliga a comprare un libro, un disco, un quadro o andare a vedere un film o un concerto. Se lo faccio è una mia libera scelta, non sono sfruttato da qualcuno.

    Un po' diverso lavorare al tornio per faticarsi la vita guadagnando magari 800 euro scarsi al mese, mentre chi è al comando della nave (e magari la manda con schettiniano entusiasmo contro gli scogli) prende 600 volte tanto oltre magari a un sontuoso bonus di uscita per levarsi dalle palle e smettere di fare danni...

    Senza contare poi che lo stesso Gaber de "i borghesi son tutti dei porci" (tra l'altro, non è che ogni parola messa in una canzone è per forza un inno o uno slogan che riflette perfettamente il pensiero del suo autore, di questo passo Brett Easton Ellis è un maniaco omicida che circola per la metropolitana armato di sega a nastro...) è lo stesso Gaber che - in anticipo di decenni sul resto del Paese - fu tra i più feroci critici di una sinistra gonfia di riti e formalismi vuoti e sterili, una sinistra che si avviluppava sempre più nel proprio solipsismo alla ricerca di chissà quale "sintesi", mentre fuori la Storia procedeva a passi da gigante e si preparava a rottamare il Comunismo. Basta ascoltare canzoni come "I reduci" o "La realtà è un uccello" per rendersene conto.

    Ma posso immaginare che fare un'analisi lucida nel pieno del furore ideologico di quegli anni fosse molto più difficile di quanto sia scrivere un commentino su un blog a quasi 40 anni di distanza, per cui che ne so...

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    1. L'unica cosa sensata di questo inutilmente fluviale intervento è l'ultima riga, 3 parole: "che ne so".

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  4. Mai amato Gaber ma certo che come critica, il fatto che guadagnasse milioni a serata o che 'lucrasse' sui dischi, è abbastanza penosa. Mutatis multis mutandis, mi ricorda quelli che pontificavano sul fatto che Lenin aveva fatto la rivoluzione russa coi soldi dei tedeschi o, oggi, che criticano l'operato di Monti perché è quel che è, nella vita. Da qui a criticare lo scrittore Céline perché fuggì dalla Germania coi nazisti il passo è breve. Che pena.

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    1. Altro intervento stralunato, forse per carenze nella capacità di intendere o forse solo per schietto analfabetismo. Per mettere insieme Gaber con Lenin e Céline occorrono nessi logici che qui proprio non si scorgono: c'è solo un narcisismo che si specchia nel coraggioso anonimato. Nè si possono scorgere, quei nessi, visto che il presupposto di questo sragionamento è del tutto campato per aria: la critica di Tortora (lungi da me il farne le veci qui) non è sui milioni guadagnati, ma sul guadagnarli da borghese, sputando sulla borghesia di cui si fa parte. C'è una differenza sostanziale.

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    2. Non mi pare un gran modo di dialogare, Del Papa, dare a chi non concorda con te dell'analfabeta. Comunque sia, se non scorgi i nessi ti fornisco un'altra traccia facendoti una domanda: Lenin era un proletario poverissimo che si ribellò al potere che lo annichiliva o un borghese benestante che tagliò le teste (metaforicamente, altrimenti mi dici che sono analfabeta) ai borghesi di cui faceva parte?
      Grazie e saluti
      Anonimo

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    3. Cioè il dittatore Lenin (che tagliava teste, e non metaforicamente) legittima le boiate di Gaber? Tortora ha più ragione oggi di ieri. Purtroppo, molti analfabeti anonimi lo fanno perfino rimpiangere.

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  5. Tortora, nella sua "seconda vita", probabilmente non si sarebbe espresso così (ma è da escludere che sarebbe finito a fare il lacché dei magistrati al Fatto quotidiano). Quello che è certo, è che in quegli anni il qualunquismo di sinistra da parte dei milionari benpensanti fu (e lo è anche oggi) qualcosa di insopportabile, anche perché del tutto opportunistico. Sì, davvero insopportabile.

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