DIRE, FARE, DISFARE
Il gioco è sempre
carino: “Tu scrivi cosa non ti va ma non cosa faresti”. È la
solita provocazione subdola di chi si nasconde dietro alle sue e
soprattutto le tue parole. Spiacente, non funziona così, io scrivo
quello che vedo ed è già una fatica perché quello che vedo fa
paura perché c'è, quindi giudicatemi se ci vedo male, non se ci
vedo bene. Quanto al (non) dire quello che farei, qualche ideuzza ce
l'ho ma non sono così presuntuoso da proporla con tanto di manifesto
programmatico, quelli li lascio a Sabina Guzzanti, una che critica la
finanza speculativa che la imbroglia. Se invece si parla di un paio
di cose immediate, che anche il fatidico lattaio (dell'Ohio o di
Lambrate) potrebbe fare, ecco e qua.
Taglierei subito le
province. 14 miliardi risparmiati. Disboscherei gli enti inutili.
Idem. Accorperei i Comuni che tali sono solo sulla carta, perché non
è possibile tenere in piedi oltre duemila villaggi con meno di 100
anime e però sindaco con fascia tricolore e assessori vari.
Estenderei la riforma ex art. 18 anche al settore pubblico,
altrimenti sì che diventa punitiva. Eliminerei le centinaia di
migliaia di imbucati e raccomandati nella burocrazia statale e
laterale, pratica di sostentamento partitico ormai allargatasi dal
Mezzogiorno fino al resto del Paese. Metterei mano al patrimonio
dello Stato ancora improduttivo, sia vendendolo che facendolo meglio
fruttare. Comincerei a far pagare le tasse alla Chiesa ma sul serio,
non con la presa in giro dell'Imu “tranne le attività benefiche”.
Toglierei dalle palle i vari 8 per mille che sono truffe. E porrei un
calmiere sui prezzi delle energie, perchè sono oltre il livello
critico. Già che ci sono, ridurrei massimo a 300 il numero di
parlamentari complessivi, per entrambe le Camere. Di più non ne
servono, sono 60 anni che lo dimostrano e oggi abbiamo quelli come
Calearo che a Montecitorio non ci vanno “perché è usurante”, ma
i 15mila euro mensili non rinunciano a prenderli “perché ci pago
il mutuo”, avendo dotato la Porsche di targa slovacca, così non
pagano tasse. E questo, emblematicamente, è un berlusconiano
transitato per i progressisti, uno messo in Parlamento da Veltroni.
Potrei continuare, ma mi limito alle cosette di uso elementare.
Cercherei di far pagare le tasse ai ladroni (e ai politicanti di
merda), di chiudere un occhio (mezzo, va') sui poveri cristi, ove
tali davvero, defiscalizzerei per quanto possibile il costo del
lavoro altrimenti non ha senso parlare di licenziamenti senza
assunzioni di sorta, renderei più semplice aprire un'attività al
posto delle seicentomila incombenze di oggi, rafforzerei le
comunicazioni in fibra ottica e banda larga, reperendo il miliardo
che ci vuole da economie ottenute con le misure sopra esposte.
Interverrei sulle infrastrutture, non spendendo ma economizzando, se
è vero che sono le più intralciate e dispendiose dell'occidente. E
qui debbo inserire una illuminante cronaca dal Corriere di ieri, 1
aprile: Racconta Rodrigo Bianchi che da due anni non riesce a
mettere un mattone dell'asilo nido per le mamme impiegate nella
fabbrica di Pomezia della Jonhson&Johnson medical, azienda di cui
è presidente e che ne sopporterebbe interamente la spesa. Il motivo?
«Esplorazioni archeologiche, problematiche amministrative... Vai a
sapere...». Fa presente Nando Volpicelli, amministratore delegato di
Schneider electric industrie Italia come le nostre infrastrutture
siano in una condizione tale che il costo di trasporto per unità di
prodotto dallo stabilimento di Rieti della multinazionale transalpina
è «di due euro più caro rispetto al Sud della Francia». Aggiunge
il suo collega della Procter & Gamble Italia, Sami Kahale, che da
noi costa di più anche la pubblicità per il lancio di una novità:
mediamente del 30% rispetto alla Gran Bretagna. E il presidente della
Ericsson telecomunicazioni Italia, Cesare Avenia, conclude che «il
problema dell'Italia non è tanto l'articolo 18 quanto la certezza
del diritto, se si considera che ci sono imprese obbligate a
reintegrare dopo cause durate anche sette anni dei dipendenti in
posti di lavoro che non esistono più». Mi
darei una calmata con la libidine tassativa, intesa come bastonate
pedagogiche, perché, anche se i professori non lo capiscono, sono
diventate la prima causa di stagnazione della produttività, dei
consumi, del lavoro. Infine, potenzierei i trasporti, specie
alternativi alla gomma, altro che notav e no a tutto.
Cosa non farei: eliminare
la proprietà privata, edificare una sana società comunista e/o
socialfascista, credere solo al dio dello spread, temere di
finire “come la Grecia” (e se ci fossimo già?), continuare a
prendere ordini dalla fatidica Europa (se mi serve solo a vietarmi un
fritto misto, meglio salutarla), accanirmi con una economia
tributaria di puro tamponamento ossia mantenimento del sistema
attuale allo sfascio, continuare a tutelare solo banche e loro
derivati, sprecare contributi pubblici a miliardi sulle cosiddette
rinnovabili che non rinnovano un bel niente (cifre, dati, costi,
prospettive li trovate sul Faro di questa settimana e sul prossimo:
qui ve li risparmio, sono pezzi aridamente concreti).
Ecco, ho buttato un
articolo con osservazioni e proposte di piatta banalità, peraltro
già scritte mille volte, e che poi consistono, all'osso, nel
rimettere al centro della politica l'individuo e non il suo codice
fiscale. Forse è per questo che nessun governo le attuerà mai,
tantomeno quello dei professori alienati e dei robottini alla Hal.
se poi aggiungimao che la riforma del mercato del lavoro proposta fa solo strazio dei diritti dei lavoratori, il giudizio negativo su Monti è totale e assoluto...al di là dell'avere evitato la probabile bancarotta a novembre e di averci fatto recuperare un po' di credibilità a livello internazionale, di meriti non ne ha...
RispondiEliminaleggete con attenzione l'articolo di cui al link qui sotto
Davide, Milano
http://www.di-elle.it/index.php?url=/consultazione/approfondimenti_4/il_nuovo_mercato_del_lavoro_secondo_monti_una_riforma_inutile_e_dannosa_di_stefano_chiusolo_950/view/950/