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COME SCHEGGE DI VETRO



COME SCHEGGE DI VETRO
Sabato si schianta in campo l'ennesimo giocatore, Morosini, folgorato da un proditorio attacco, la schiuma alla bocca. Ventisette anni, tanti misteri che l'autopsia, come da copione, non scioglie, e un'urticante sensazione di fosco, di omertoso. Di ambiguo. La solita di quando muore (o si salva a stento) un ragazzo giovane, un atleta nel pieno delle forze e tutti dicono che aveva un forellino minuscolo, invisibile nel cuore. Una manciata di ore dopo, spira un ex calciatore, Carlo Petrini. Fine annunciata la sua, torturato com'era dalle conseguenze del doping e dalla rabbia di denunciarlo, libro dopo libro, intervista dopo intervista. Quando gli riusciva: chi gli era vicino conosceva la fatica ingiusta di riuscire a far breccia per Carlo, puntualmente disinnescato, neutralizzato, maledetto perché diceva la verità. Imbavagliato anche da cadavere: la notizia c'è, è una notizia nella notizia, ma per i notiziari Petrini non è mai nato, dunque non è mai morto. Proprio lui, che qualcosa da dire l'avrebbe avuta, non fosse già caduto in coma da qualche ora, sulla fine di Morosini. Che brutto momento per tirare le cuoia, che maleducazione. Pare quasi fatto apposta, per disturbare la cristallina buona fede del mondo pallonaro. A chi dà fastidio Carlo, anche da cadavere? Chi teme il suo silenzio come ieri temeva le sue parole come schegge di vetro? A qualche squadra blasonata? A qualche “ex” dioscuro? E che ne è stato dell'ultima intervista, concessa alle Jene in gennaio, e mai andata in onda? Ma non s'illudano quelli che credono di averlo silenziato: ogni volta che un ragazzo cadrà su un prato con la schiuma alla bocca, e succederà ancora, la sua morte avrà l'eco della voce profonda e inesorabile di Carlo. Inesorabile.

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