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CLAUSURA



CLAUSURA
Dopo giorni di dimenticanza, oggi un sole negato, la sua stessa smentita, la sua sconfitta. Pioveva, siccome avevamo il rischio siccità, su una spiaggia porosa, inzuppata e la gente la spianava nelle giacche a vento. Visione disturbante: tra quindici giorni siamo a maggio, e noi sappiamo, perché lo sappiamo, che questa assenza di primavera durerà un altro mese, dopodiché l'esplosione di un'estate prematura e incerta. Nessuna sorpresa per me: sono 27 anni, da quando vivo qui, che tutto questo si ripete, e mi uccide. Mai più visto un risveglio. Dalla giacca a vento alla maglietta senza potersi preparare. Ma non è questo a farmi sentire solo, e diverso, e disperso. In Vespa osservo le facce sopra le giacche a vento. Sono senza volto, non hanno espressione, non hanno addosso l'eternità del dolore e neppure la nobiltà malinconica di certi animali consapevoli, sono facce impermeabili, sole o pioggia, luce o scuro, estate o inverno per loro è lo stesso, accettano tutto, proiettate verso il ritorno degli istinti primari, il cibo, il denaro. M'imbatto in un comizio, roba da '48, da stentato dopoguerra ma più misera: il cartellone con la faccia dell'oratore e lo slogan "Noi abbiamo un sogno", davvero folgorante, sta su un camioncino scassato, lui sale su un palchetto e, ascoltato da nessuno, comincia a farfugliare: “Eeeeh... cambiamento. È ora di cambiare! Aaah... (incomprensibile) cambiamento! Per il cambiamento! (lungo silenzio, poi frase incomprensibile)... cambiare! Basta!! (lunghissimo silenzio, poi quasi a tradimento:) Cambiamento! (lungo silenzio). Grazie!”. Nessuno applaude e parte la musica. La macarena. Ma non è la macarena, è “La cumbia che cambia” di A. Celentano. L'oratore adesso ha la faccia soddisfatta, persino tronfia. Intorno a me piante umane senza età si spostano, si sfiorano. Mi sento in un incubo, un incubo che, quando ti svegli, è anche peggio. Odio ogni momento di questo tempo, ogni centimetro di questo cielo infinito e distante, senza colore.
Almeno nel risveglio della natura mi sentirei meno abbandonato. Meno inadeguato. Ma il risveglio non c'è, c'è questo coma del presente, un'ora di sole negato che spezza una teoria di nubi, di piogge, di freddo. Spietato, insulso, ingiusto. E tale mi rende, mi fa tornare, asciugando la speranza da me. Dicono i vecchi contadini sformati, che odorano di fieno e di muffa, con lo sguardo acquoso e cattivo: “Lo deve fa, lo pioe je fa vè la cambagna”. Ma io me ne frego della campagna, che poi è la loro unica vita, trovo impossibile questa crudeltà di una stagione mancata solo per il loro orto di merda, non ne posso più di cielo senza colore, di quest'unica foschia al neon che invade lo spazio davanti a me, proprio oltre il vetro. Ecco. L'ultimo raggio di sole è sparito, il giorno torna a spegnersi, anche per oggi abbassa la saracinesca, e non è ancora sera. Nessuno mi renderà questo mese sprecato, avuto mai. Ed è un mese in meno di vita spesa, un altro mese di clausura non scelta, non meritata, passata a bestemmiare.

Commenti

  1. Forse è per il cielo che si confonde col mare.
    Cristiano

    p.s.ma che è sta storia del robot?

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